A pochi giorni dal Research day 2021 sentiamo la storia di Elena Mancioppi, UNISG alumna del corso di laurea magistrale ora dottoranda UNISG in in Ecogastronomia, Formazione e Società.

Dopo una laurea in Lettere Moderne, cosa ti ha portato a Pollenzo per il corso di Laurea Magistrale?
A latere degli studi letterari, già in triennale avevo iniziato a sviluppare un interesse nei confronti del cibo come tema di studio. Iniziai allora a leggere diversi libri dedicati al tema. All’inizio, da una prospettiva perlopiù storica, attraverso per esempio i lavori di Massimo Montanari, e poi spaziando dalla psicologia all’antropologia del cibo. Nella tesi finale feci convergere questi due temi; nel rispetto della disciplina letteraria, usai una “lente alimentare”, scrivendo sul cibo come simbolo identitario nelle opere di Italo Calvino. Una volta terminato quel primo percorso ho allora pensato di proseguire concentrandomi stavolta in modo esclusivo sul cibo, e usare il mio bagaglio umanistico come terreno su cui innestare nuove conoscenze. Non conoscevo l’Università di Scienze Gastronomiche ma, parlando con diverse persone di questo mio desiderio, mi sono alla fine imbattuta in chi la conosceva. Così mi sono iscritta alla Laurea Magistrale.

Quando hai capito che avresti voluto intraprendere un percorso accademico e perché?
Non l’ho mai “capito”, forse perché l’ho sempre sentito o inconsciamente voluto. Il mio è stato un percorso molto spontaneo e graduale. Ho sempre continuato a fare quel che ho sempre fatto e che mi è sempre piaciuto fare, cioè studiare, ma con crescente impegno, coinvolgimento e consapevolezza. È pur vero che, benché senza epifanie improvvise, ho lasciato che ciò avvenisse. Penso che il motivo risieda nel fatto che la prospettiva di una vita dedicata alla ricerca e allo studio mi renda semplicemente felice. Fare ricerca, come ho avuto modo di sperimentare pienamente in questi ultimi anni facendo il dottorato, è un’attività stimolante e profondamente creativa. Questo perché più si ricerca più si trova, per quanto possa sembrare controintuitivo. È un circolo che si auto-alimenta. Mi sono resa conto che non si parte da un tema ampio per arrivare al “nocciolo della questione”, bensì si parte da un argomento, qualsiasi esso sia, che man mano si amplia e intraprende percorsi talvolta imprevedibili e impensati. Ricercare, come dice Tim Ingold, vuol dire appunto ri-cercare, cercare ancora, cioè lambire le “stesse cose” ma con uno sguardo via via diverso, sempre rinnovato da suggestioni, intuizioni, conoscenze acquisite, sensibilità affinate. In potenza, nessuna ricerca ha mai “fine”, se con fine intendiamo una conclusione irrevocabile, un traguardo raggiunto una volta e per sempre. Perciò credo che un percorso accademico di ricerca sia una bella prospettiva.

Qual è l’aspetto che più ti ha appassionato del tuo progetto che presenterai al Research Day?
Il progetto consiste nella ricerca dottorale, percorso che è giunto al suo terzo e ultimo anno, essendo in fase di stesura della tesi. L’aspetto che mi ha più appassionato penso sia il soggetto in sé, ossia l’olfatto. Nello specifico del cibo, l’olfatto è uno dei sensi più coinvolti e potenti, tanto nella concreta ingestione quanto nella dimensione psicologica che attiene il ricordo e tutta la sfera affettiva. Ma l’olfatto, per ragioni inerenti l’assetto culturale tipico dell’Occidente (pensiamo ai tenaci dualismi tra mente/corpo, ragione/passione), ha anche costituito uno dei sistemi percettivi maggiormente ignorati, sottovalutati o anche stigmatizzati per via dello stretto rapporto che esso intrattiene con l’animalità, l’irrazionalità, l’indicibile, quel “non so che” peculiare che un odore condensa. 

Una direzione che ha preso la mia ricerca, e che penso sia molto attuale, è quella sull’“estetica sociale”, anche nella declinazione politica, degli odori. Viviamo in un mondo che molti studiosi definiscono, da una parte, “de-odorizzato” – per via del dilagare di un’isteria igienizzante che ha preso piede negli ultimi secoli; dall’altra, “iper-estetizzato”: ciò ha a che fare con dinamiche di mercato, col marketing, ma anche con una percezione collettiva tendenzialmente satura per via di continui bombardamenti sensoriali. Si tratta delle strategie ma anche dei tratti percettivi propri di un’epoca dei consumi. Nel rispetto dell’olfatto, non vi è luogo di consumo o di vendita (dai supermercati ai negozi di telefonia fino a quelli di abbigliamento) né classe merceologica (dai cosmetici alle automobili e naturalmente il cibo) che non siano sottoposti a profumazione. Tra estetizzazione e manipolazione o adulterazione il confine è però qui molto labile e sottile. Spesso gli aromi richiamano l’alimentare, in quanto potenti inneschi di reazioni eminentemente emotive; d’altra parte, l’odore del cibo affonda le sue radici nelle profondità del nostro essere: è il primo stimolo che ci mette in comunicazione col mondo, e non solo appena nasciamo ma anche prima, nella vita intra-uterina. Riflettere sul valore e sull’uso dell’odore del cibo oggi, cercando di coglierne gli aspetti, le cause ma anche le sintomatologie, le possibili conseguenze, le potenzialità e nondimeno i cortocircuiti, penso sia un’operazione urgente, e a maggior ragione adesso, in questo momento storico. Se non altro, la pandemia ha contribuito a rivalutare l’importanza dell’olfatto, che così spesso diamo per scontato. Un mondo senza odori, quello in cui vive il soggetto anosmico (colui che perde o manca della sensibilità olfattiva), è un mondo muto, spento: non ci offre appigli né conforto, non ci parla più.

Rispetto al tuo percorso fino ad oggi, quali credi siano stati i momenti più rilevanti e come credi si evolverà la tua carriera?
Il più rilevante è certamente l’incontro in Magistrale con il Prof. Perullo, allora mio docente e relatore di tesi e oggi maestro e supervisore di dottorato, a cui sono riconoscente per avermi fatto crescere una passione consapevole per lo studio. Il suo lavoro, il suo insegnamento e la sua guida sono stati imprescindibili alla mia formazione e a quanto ho fatto finora. Mi ha trasmesso non solo la passione per la filosofia e in particolare per l’estetica, ma mi ha anche supportato e spronato in un percorso che, soprattutto ai suoi inizi, può intimorire. Da qui sono seguiti altri momenti e, soprattutto, progetti e collaborazioni rilevanti per la mia carriera: un assegno di ricerca (PRIN 2015) sulla cucina politica, dopo la Laurea Magistrale, in cui ho approfondito e posto le basi per quello che sarebbe poi diventato il mio progetto di dottorato; poi le pubblicazioni di alcuni articoli, alcune traduzioni e tutta la didattica a Pollenzo, con numerose lezioni in diversi corsi in cui ho potuto “mettere a terra” e condividere quanto io stessa stavo esplorando e indagando. 

L’evoluzione naturale sarebbe quella di continuare questo percorso e intraprendere la carriera accademica vera e propria. Spero, dopo il dottorato, di avere le capacità e le opportunità per continuare su questa strada.