Uno studio etnobotanico sulle conoscenze tradizionali di due comunità etniche (Albanesi e Gorani – i Gorani rappresentano una minoranza slava di religione musulmana che abita una piccola zona montuosa circoscritta tra Albania, Kosovo e Macedonia) che vivono in una delle regioni montuose più remote dei Balcani è stato pubblicato ieri sulla prestigiosa rivista Nature (Plants).
Questo studio, finanziato dall’Università di Scienze Gastronomiche e dal Center for Human Health della Emory University di Atlanta, USA è il risultato di una ricerca sul campo condotta nella tarda primavera del 2012 da Andrea Pieroni, professore di Etnobotanica all’Università di Scienze Gastronomiche e Cassandra Quave, ricercatrice alla Emory University.
La ricerca dimostra come le conoscenze tradizionali di queste due comunità che hanno vissuto assieme per molti secoli ed hanno condiviso la religione musulmana per almeno 150 anni diverga nel campo delle piante medicinali, ma converga nel caso delle piante spontanee usate a scopi alimentari.
La rilevanza di questo studio si situa soprattutto nel campo della sovranità e sicurezza alimentare e salute pubblica di comunità svantaggiate e “periferiche” di zone rurale e montuose.
Le conoscenze tradizionali legate alle piante potrebbero infatti rappresentare una chiave di volta per uno sviluppo sostenibile in queste aree e per sostenere la resilienza socio-ecologica che questa comunità hanno esercitato nel corso dei secoli.
“L’etnobotanica si occupa dello studio delle interazioni tra società umane e piante” afferma Pieroni “ma è stata anche descritta come ‘scienza della sopravvivenza’”.
La sopravvivenza dei saperi popolari sulle piante, su come raccoglierle e preservarle può fare una grande differenza per il benessere olistico di queste comunità.
I ricercatori hanno condotto interviste con più di 100 residenti ed hanno documentato l’uso di 104 diverse specie di piante selvatiche, per un totale di 418 usi di queste piante in ambito alimentare e medicinale.
L’ortica, per esempio, è un punto fermo della dieta sia tra gli Albanesi che tra i Gorani.
“Viene bollita e la utilizzano come noi faremmo con gli spinaci” sostiene Quave “a volte mescolandola con burro, riso, oppure come ripieno nel byrek”
Talvolta le sue foglie vengono perfino seccate ed in questo modo conservate per i rigidissimi e nevosi mesi invernali, quando vengono ri-immerse in acqua tiepida, e poi usate come quelle della pianta fresca.
I ricercatori hanno anche scoperto 77 usi divergenti.
“La cultura e la lingua influenzano sostanzialmente il modo in cui le persone percepiscono l’ambiente naturale” dice Pieroni “E queste opinioni influenzano le pratiche domestiche e le cucine popolari”.
Gli Albanesi dello studio, per esempio, non usano l’albero del salice, mentre per i Gorani questa è una sorta di pianta sacra, utilizzata nella loro medicina popolare con modalità diverse.
Allo stesso modo, i Gorani sono soliti preparare bevande leggermente fermentate a base di diversi frutti selvatici (ciliegie-susine, mirtilli, prugnoli, cornioli), e che vengono bevute in estate come “bevande salutistiche”, ciò che invece è molto meno comune tra gli Albanesi.
“Molta attenzione internazionale si è concentrata sui Balcani per sostenere la riconciliazione e lo sviluppo” sostengono i due autori. “Se si vuole però veramente aiutare le comunità locali in modo sostenibile e culturalmente sensibile, è importante essere cauti con soluzioni provenienti dall’esterno, ed invece recuperare una conoscenza dettagliata di come hanno interagito ed interagiscono con l’ambiente e quindi della loro etnobiologia”.