Quante volte di mattina vi è capitato di sporgere la mano con fare sonnolento verso una scatola di cereali e, dopo averla girata, iniziare a leggere pigramente gli ingredienti riportati sul lato più lungo e stretto della confezione?
Spesso il vostro, più che un tentativo di essere informati sull’esatto contenuto della colazione, non era forse un improvviso desiderio di sapere come si dica zucchero in inglese, portoghese, francese, lituano, tedesco e mandarino, o in una delle otto lingue in cui è riportata la lista degli ingredienti? Un giorno, sapere come i norvegesi scrivano “estratto di malto d’orzo”, potrebbe sempre esservi utile.
Finché, improvvisamente richiamati all’ordine dal timore di essere in ritardo, decidete di abbandonare la lettura. Con ancora quegli E450, E304 ed E471 che vi rimbombano in testa, vi affrettate a sfilarvi il pigiama dopo esservi distrattamente lavati i denti. Il tempo di chiedersi quale sia il loro oscuro significato non c’è.
Ora io chiedo a voi, appassionati lettori mattinieri, avete forse notato che nell’ultimo mese qualcosa è cambiato nelle vostre letture giornaliere? Se l’Europa ha portato a termine l’obiettivo che si era prefissata, a partire dal 13 dicembre 2014 le etichette presenti in casa vostra dovrebbero risultare più chiare e leggibili.
Il Regolamento n. 1169/2011 relativo all’etichettatura degli alimenti è divenuto ufficialmente operativo. Pubblicato tre anni fa sulla Gazzetta Ufficiale UE il documento si prefigge lo scopo di uniformare le norme all’interno dell’Unione al fine della “libera circolazione di alimenti sicuri”[1] e di “costituire una base per consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli in relazione agli alimenti che consumano e prevenire qualunque pratica in grado di indurre in errore il consumatore”[2].
Che cosa cambia rispetto al passato? Le novità non riguardano solo gli alimenti preconfezionati, con l’attuale regolamento anche i prodotti sfusi, quelli venduti tramite internet e i ristoranti avranno l’obbligo di indicare informazioni più specifiche. Vediamone alcune.
Allergeni: vietato nascondersi. “Qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’allegato II o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata” dovrà essere indicato in maniera chiara e ben distinguibile. Per i prodotti confezionati l’obbligo esisteva già, il regolamento lo estende a prodotti sfusi e ristoranti, i quali “ dovranno indicare in modo ben visibile all’avventore, che sia con menù, pannelli o cartelli, la presenza di allergeni”[3].
Benvenute maionesi senza uovo. All’Articolo 7, che definisce le pratiche leali di informazione si legge: “Le informazioni sugli alimenti non inducono in errore … suggerendo, tramite l’aspetto, la descrizione o le illustrazioni, la presenza di un particolare alimento o di un ingrediente, mentre di fatto un componente naturalmente presente o un ingrediente normalmente utilizzato in tale alimento è stato sostituito con un diverso componente o un diverso ingrediente”[4].
Niente più lente di ingrandimento al supermercato. Leggibilità è una delle parole chiave del regolamento: aumentano di qualche millimetro le dimensioni delle lettere. Armatevi dunque di righello e verificate che la parte mediana dei caratteri abbia un’altezza “pari o superiore a 1,2 mm”. Nel caso di confezioni la cui superficie maggiore misuri meno di 80 cm², il limite minimo è fissato a 0,9 mm.
Quando il cibo smette di fare miracoli. Sempre all’Articolo 7 viene sottolineata come pratica sleale il suggerire “che l’alimento possiede caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche, in particolare evidenziando in modo esplicito la presenza o l’assenza di determinati ingredienti e/o sostanze nutritive”[5].
Origine. “Le indicazioni relative al paese d’origine o al luogo di provenienza di un alimento dovrebbero essere fornite ogni volta che la loro assenza possa indurre in errore consumatori per quanto riguarda il reale paese d’origine o luogo di provenienza del prodotto. In tutti i casi, l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dovrebbe essere fornita in modo tale da non trarre inganno il consumatore e sulla base di criteri chiaramente definiti in grado di garantire condizioni eque di concorrenza per l’industria e di far sì che i consumatori comprendano meglio le informazioni relative al paese d’origine e al luogo di provenienza degli alimenti. Tali criteri non dovrebbero applicarsi a indicatori collegati al nome o all’indirizzo dell’operatore del settore alimentare”[6].
Che si tratti dell’origine geografica, vegetale o dello stato fisico originario dell’alimento (prodotto congelato o veduto in seguito a decongelamento), il Regolamento UE n 1169/2011 sembra averne ben chiara l’importanza. Altre carni si aggiungeranno a quella bovina e a miele, frutta, ortaggi, pesce e olio d’oliva fra l’elenco di prodotti per i quali è obbligatorio indicare il paese di origine. Anche il latte è fra i prodotti che sono stati presi in considerazione.
L’etichetta può quindi rappresentare una guida verso un consumo consapevole e per il gastronomo che decida di essere informato e attento. Si tratta di un dettaglio da cui il giovane gastronomo del futuro non può prescindere. Affinché l’etichetta operi questo ruolo è però necessario saperla leggere, e avere voglia di farlo.
Forse inizieremo a fare più attenzione anche alle etichette delle creme, dei vestiti e dei detersivi. Così da essere un giorno dei gastronomi con una bella pelle dovuta a cosmetici biologici. Gastronomi che indossano vestiti non prodotti dallo sfruttamento minorile e che ci sentiremo liberi di sporcare, consapevoli del fatto che gli ottimi detersivi a basso impatto ambientale che abbiamo acquistato faranno un ottimo lavoro.
Il rischio è però anche quello dell’abitudine. Per adesso ci scandalizzeremo allo scoprire che “l’italianissima polpa di pomodoro di Nonna Teresa” è fatta con pomodori cinesi. E poi? Dopo qualche mese passato a fare il sugo in casa, superata una prima diffidenza, ci saremo già abituati a leggere “Made in China” sulle confezioni di conserva e “Miscela di oli comunitari” sulle bottiglie di “Olio Extra Vergine di Oliva Zio Cavour”. È normale, è scritto così su tutti. Non c’è niente di strano. Forse sì, è giusto migliorare le etichette, ma bisognerebbe lavorare anche sul desiderio di consapevolezza: le miscele di oli comunitari e non comunitari sono “normali” già da sei anni, solo che la dicitura non era sul fronte, ma sul retro.
[1] REGOLAMENTO (UE) N. 1169/2011 DEL PARLAMENTO EUROPERO E DEL CONSIGLIO del 25 ottobre 2011, p. 1
[2] op. cit.
[3] http://www.eunews.it/2014/12/11/da-sabato-scatta-la-rivoluzione-delle-etichette-alimentari-ecco-cosa-cambia/27060
[4] REGOLAMENTO (UE) N. 1169/2011 DEL PARLAMENTO EUROPERO E DEL CONSIGLIO del 25 ottobre 2011, p. 10
[5] op. cit
[6] op. cit, p.4