L’agroecologia è una questione di connessione, o meglio, di riconnessione. Si tratta di ristabilire il nostro legame con la natura e di capire che siamo tuttə parte dello stesso insieme. Si tratta di riconnettere le comunità promuovendo una nuova economia della cura, e di riconnettere le persone in una società frenetica, incoraggiandoci ad apprezzare e preservare le cose semplici prima che vengano spazzate via dal turbine della globalizzazione e del capitalismo.
Dopo il mio soggiorno ad Arusha con Reguli, dove abbiamo visitato alcune comunità che praticano l’agroecologia femminista, ho continuato il mio viaggio in Uganda. Lì mi sono finalmente ricongiunta con il mio caro amico John Wanyu a Mukono. John lavora con Slow Food Uganda e ha conseguito sia la laurea che il master ad UNISG. Aveva una missione quasi impossibile: farmi apprezzare i luoghi che avremmo visitato più della sua meravigliosa compagnia. Devo ammettere che ci è riuscito pienamente..
La saggezza nella semplicità
La nostra prima tappa è stata la visita al Ankole Long-Horned Cattle Presidium.
John e io abbiamo accompagnato Isaac, che lavora per Slow Food Uganda ed è il coordinatore di questo Presidio, perché aveva bisogno di visitare le tribù che gestiscono il bestiame Ankole per essere aggiornato sull’andamento della stagione e per valutare se Slow Food potesse fornire loro qualche supporto specifico. Questi incontri avvengono regolarmente e la fortuna ha voluto che la sua visita coincidesse con la mia in Uganda.
Quando siamo arrivatə nel distretto di Mubende, siamo statə accoltə calorosamente dalla leader della tribù locale. La sua presenza è fondamentale durante queste visite, perché mette la gente a proprio agio quando parla con persone estranee. Quando siamo arrivatə a casa della famiglia che Isaac voleva visitare, siamo statə portatə immediatamente nella tenda dove le donne lavorano il latte Ankole. All’interno, quattro donne ci aspettavano e ci hanno gentilmente offerto il ghee, uno yogurt tradizionale fatto con il latte Ankole.
Ci hanno spiegato la netta differenza tra il latte delle vacche Ankole e quello delle loro vacche Frisone. Il latte Ankole, hanno fatto notare, è molto più ricco di grassi e sostanze nutritive, il che permette loro di produrre più burro e ghee. Poi ci hanno spiegato il processo di produzione del burro, utilizzando il loro strumento tradizionale chiamato Kyanzi (un recipiente realizzato in legno di mugavu intagliato e affumicato, con una finitura di colore nero intenso che ricorda l’ebano).
Spesso romanticizziamo la semplicità della vita rurale, immaginando un’esistenza pacifica in armonia con la natura. Tuttavia, mentre queste donne condividevano con me le loro conoscenze, non ho potuto fare a meno di riflettere su quanto questa narrazione possa essere fuorviante. Vivere in stretta connessione con la natura e seguire i suoi ritmi non implica una mancanza di complessità. Anzi, è affascinante rendersi conto di quanto queste persone conoscano i paesaggi, gli animali e le risorse di cui si prendono cura. La loro profonda comprensione permette loro non solo di vivere in equilibrio con il loro ambiente, ma anche di mostrare un profondo rispetto per esso.
Presto gli uomini si sono uniti a noi nella tenda – un evento insolito, in quanto di solito gli uomini non entrano nello spazio dove si lavora il latte. Tuttavia, con la presenza di Isaac, sono arrivati per discutere delle problematiche più urgenti. Finita la conversazione, gli uomini ci hanno portato a vedere il loro bestiame. L’immenso orgoglio che il capo tribù ha mostrato nel presentarci le sue vacche e la terra mi ha colpito molto. Questi maestosi animali, famosi per il loro manto marrone scuro e le lunghe corna bianche a forma di lira, sono in grado di percorrere grandi distanze in cerca di pascoli e acqua. Storicamente visti come simboli divini di bellezza, i bovini Ankole hanno un profondo significato culturale per tribù come i Bahima e i Banyankole.
Il loro rapporto con il bestiame Ankole non è solo pratico, ma anche profondamente spirituale. Questi animali simboleggiano ricchezza, status e patrimonio per le tribù e i loro sforzi di conservazione riflettono l’impegno a salvaguardare sia la loro biodiversità che la loro identità culturale.
Semi di cambiamento e di emancipazione
Il mio viaggio alla scoperta dei progetti ugandesi per la conservazione del patrimonio locale non si è ancora concluso, infatti Jhon e io abbiamo visitato la Joy and Family Demonstration Farm. Durante la mia visita alla Joy and Family Demonstration Farm, siamo statə accoltə calorosamente da Joy, la direttrice, insieme a suo marito e a tre contadine, tutte donne. La loro ospitalità era evidente anche di domenica. Joy ci ha raccontato la storia di come questa azienda non sia solo un luogo di produzione agricola, ma una forza vitale per ripristinare la sovranità alimentare locale. Promuovendo la conservazione e l’uso di semi indigeni, l’azienda consente alla comunità di riprendere il controllo sulle proprie fonti alimentari e sulle pratiche agricole. Questa iniziativa è fondamentale in una regione in cui piccolə agricoltorə devono spesso affrontare sfide legate all’insicurezza alimentare e alla dipendenza da sistemi di sementi esterni.
Joy ci ha spiegato che un numero sempre maggiore di agricoltorə sta iniziando a rifornirsi dalla banca dei semi della comunità, che opera secondo un modello unico di sostegno reciproco. Invece di far pagare i semi, Joy e il suo team chiedono allə contadinə di restituire la stessa quantità di semi che hanno ricevuto, dopo il raccolto. Questa pratica non solo promuove una cultura della condivisione, ma assicura anche la sostenibilità delle risorse di semi, consentendo uno scambio continuo all’interno della comunità.
Oltre a fungere da banca dei semi, la Joy and Family Demonstration Farm opera come sito dimostrativo dove insegna allə contadinə come adottare pratiche agroecologiche. Grazie alla formazione pratica e a continue riunioni, lə agricoltorə locali sono in grado di migliorare i loro metodi agricoli, aumentando così la produttività e preservando l’ambiente. Questo duplice ruolo di conservazione ed educazione rafforza la capacità della comunità di produrre cibo in modo agroecologico, rafforzando la loro autonomia e contribuendo alla sicurezza alimentare. Non c’è da stupirsi che Joy abbia ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui quello di miglior agricoltorə dell’Uganda nel 2016.
Esplorando le piantagioni di banane e caffè, mi si è reso più che chiaro come queste colture non solo siano essenziali solo per il sostentamento locale, ma servono anche come base per pratiche agricole e culinarie. La visita si è conclusa con una sessione meravigliosa in cui le contadine ci hanno mostrato la loro abilità nel selezionare i semi migliori, scegliendoli accuratamente a mano.
Dimostrare impegno per l’ecosistema su cui facciamo affidamento
Vedere iniziative come la Joy and Family Demonstration Farm e il presidio di Ankole Long-Horned Cattle che lottano con tanta passione per preservare il loro patrimonio locale e la sovranità alimentare mi ha profondamente commosso. Questi progetti incarnano la resilienza, soprattutto di fronte a un contesto socio-economico difficile, in cui l’insicurezza alimentare, la dipendenza dalle sementi esterne e il degrado ambientale rappresentano una seria minaccia per le comunità locali. Queste comunità stanno salvaguardando le profonde tradizioni che da tempo tengono l’umanità legata agli ecosistemi su cui facciamo affidamento. È ironico, e tragico, che ora dobbiamo lottare per mantenere in vita queste tradizioni.
Questi sforzi vanno oltre la salvaguardia dei sistemi alimentari: si tratta di preservare l’identità, la storia e uno stile di vita che sono sopravvissuti per secoli. L’orgoglio, la dedizione e lo spirito collaborativo dellə agricoltorə che ho incontrato testimoniano il loro impegno incrollabile nel creare un futuro più agroecologico per loro stessə e per le loro comunità. Ora è giunto il momento che anche noi dimostriamo il nostro impegno.