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Viva la Beò! Il ruolo di un rito nella perpetuazione culturale

Resìstere /re-sì-ste-re/ v. intr. [dal lat. resistĕre, comp. di re– e sistĕre «fermare, fermarsi»].-

1. Opporsi a un’azione, contrastandone l’attuazione e impedendone o limitandone gli effetti.

2. Conservarsi nel tempo senza perdere valore.

Resistere ai luoghi, ai tempi e agli altri per affermare la propria esistenza. Resistere per esistere.

Bellino è un piccolo comune dell’alta val Varaita dislocato su 9 borgate a 1700 metri circa di altitudine, gli inverni sono lunghi e freddi, le scuole più vicine a 30 minuti d’auto, le strade son varchi nella neve, la mondanità uno sguardo dalla finestra appannata, l’isolamento è reale e percepibile. Non c’è nulla che inviti a rimanere se non la bellezza dell’alpe occitana ed infatti Bellino nel corso degli anni si è spopolata fino ai circa 120 abitanti attuali, dei quali solo una sessantina stabilmente residenti in loco.

Una modernità fatta di campagne e fabbriche prima e di agi urbani poi, si è presa le genti di molti paesini dell’arco alpino, ma non le loro anime, almeno non quelle di Bellino dove ancora oggi gli abitanti, anche i non più residenti, richiamati da un forte senso di appartenenza, sospendono le rispettive attività e si ritrovano ogni 3 anni per festeggiare insieme la Beò, la Beò de Blins. La parola sembra derivare dal termine “abazia”, ma il collegamento non è così immediato, poco chiari sono anche i riferimenti storici contenuti nella cerimonia così come poco conosciute sono le origini della stessa, ma di fatto la Beò esiste e rappresenta oggi il fattore aggregante di questa comunità.

beo bellino

Il rito consiste in una allegra sfilata di maschere bellinesi tra le varie borgate cui l’accesso è a volte interdetto dalla presenza di barricate che bloccano il corteo creando brevi tappe in cui avvengono scenette tra i personaggi, dopo un piccolo rinfresco, il corteo riprende festoso la sua strada. I personaggi chiave sono lou viei (il vecchio), la vieio (la vecchia) e lou medic (il medico) che rappresentano le maschere parlanti e incarnano i bellinesi insieme ai picounier e i sapeur il cui compito è rispettivamente quello di avvistare e abbattere le barriere. Altre figure hanno un’interazione diretta con il pubblico: gli arlequin (arlecchini) tenuti a bada dai souda’ (soldati) sono figure scherzose che cercano di dipingere il volto di chi segue il corteo, lou turc (il turco) è anch’esso molesto verso le persone e perciò strettamente sorvegliato dal gendarme. Al turco è inoltre affidata la storicità di questa rievocazione in quanto incarnerebbe l’invasore saraceno che attorno all’anno mille giunse alle pendici di questi monti minacciando la sopravvivenza delle comunità locali e del quale la cerimonia celebra la cacciata.

La Beò si festeggia durante il carnevale, ma i bellinesi tengono a specificare che le due realtà son ben distinte, la Beò è cosa loro, la Beò sono loro e il gracchiante megafono che guida gli spostamenti del corteo lo ricorda di continuo: «Il rinfresco è per la Beò, se avanzerà qualcosa anche il pubblico potrà favorire» o ancora «Tenete la corda tirata, che la gente stia indietro, non abbiate paura di pestare i piedi di chi è invadente, meglio mandarli a casa incalliti piuttosto che i balli non riescano bene» , c’è addirittura un servizio fotografico interno alla Beò (che per modalità d’azione sembra più un servizio d’ordine) volto ad evitare ogni commistione tra pubblico e maschere durante i momenti topici della celebrazione. Sembrerebbe perciò facile tacciare i bellinesi di inospitalità, ma così non è; bisogna comprendere che la Beò è effettivamente una ricorrenza privata, che ha una logica e un valore solo all’interno della comunità di riferimento e quindi non appartiene a tutti. Il rito ha da sempre un forte potere simbolico che contribuisce a forgiare l’identità di chi lo mette in atto, così intorno alla Beò sono cresciute intere generazioni che hanno interiorizzato questa rievocazione come parte di loro a cui comprensibilmente ora non vogliono rinunciare.

beo bellino - maschere

Non è stato facile riattivare la Beò dopo 41 anni di sospensione, c’è voluta tutta la testardaggine di un intraprendente bellinese che a malapena l’aveva vissuta da bambino. Non è stato facile riprodurre gli abiti tradizionali e convincere gli abitanti a riesumare ciò che la storia aveva seppellito, ma oggi alla settima riedizione appare evidente che questa ricorrenza si è nuovamente imposta come elemento aggregante per la comunità, di cui è parte intrinseca ed inscindibile. L’identità della Beò e l’identità della comunità di Bellino si reggono l’una sull’altra, riuscire a mantenere vivo nel tempo questo connubio significa resistere, ovvero evitare l’omologazione e vincere la sfida della sopravvivenza culturale.

Guido Bravi

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